Le inaccettabili scelte del governo in materia di pensioni
Dopo la fine di “quota 100”, quota 102 e proroga di opzione donna e ape sociale
In data 28 u.s., il Consiglio dei Ministri ha varato la manovra economica per l’anno 2022 e conseguentemente approvato il relativo disegno di legge, i cui contenuti essenziali sono stati illustrati nella conferenza stampa del presidente Draghi e del Ministro Franco, ma il cui testo ufficiale sarà reso noto solo con la trasmissione ufficiale al Senato, che è annunciata per il 3 o 4 novembre pp. vv..
All’interno del DDL Bilancio 2022, il Capo II è interamente dedicato alle pensioni con le relative scelte, dopo il gran parlare che se ne è fatto in tutti questi mesi con le varie ipotesi in campo e, di contro, il silenzio assordante venuto dal Governo che solo ora, in sede di DDL, ha reso noto le proprie intenzioni.
Che, a nostro giudizio, non appaiono in alcun modo soddisfacenti, evitando ancora una volta di dare soluzione ai problemi che si trascinano dall’entrata in vigore della riforma Fornero e, rispetto ai quali, il Governo oggi mette solo una pezza (inadeguata) per il 2022, rinviando al futuro la necessaria riforma.
La necessità di intervenire in materia previdenziale era nota a tutti, atteso che il collocamento in pensione con 62 anni d’età e 38 anni di contributi (c.d. “quota 100”, introdotta in forma sperimentale per il biennio 2020-21 dal DL 4/2019) non sarebbe stata più possibile.
Lo stop a “quota 100”, già deciso dal Governo, avrebbe trovato giustificazione nei costi, pare alquanto elevati, di questa misura per le casse dello Stato, come peraltro segnalato da OCSE e Corte dei Conti, a fronte di una platea di utilizzatori di numero molto inferiore rispetto al previsto. I dati recentemente forniti dall’INPS e relativi alle adesioni fino al 31.08.2021, parlano di un totale di 341.128 lavoratori (dipendenti + autonomi) che hanno beneficiato di “quota 100”, di cui 107.237 nel settore pubblico, con una spesa che ha superato sinora 11,5 mld (oltre 4 se si guarda al solo settore pubblico).
C’era però un problema. La cancellazione di “quota 100” avrebbe prodotto in automatico, dal 1 gennaio p.v., il ritorno alla “legge Fornero”, con le sue due uniche opzioni: pensione di vecchiaia a 67 anni, e dunque con un brusco innalzamento di cinque anni per il requisito anagrafico (età pensionabile), oppure pensione anticipata che richiede 41 anni e dieci mesi di contributi per le donne ed un anno d’età in più per gli uomini. Occorreva dunque individuare e introdurre, a partire dal 1.01.2022, nuovi meccanismi di flessibilità in uscita allo scopo di scongiurare il c.d. “scalone”.
A tal riguardo, la Commissione Lavoro della Camera aveva avviato una riflessione e approfondito alcune proposte, mentre il Ministro del Lavoro aveva aperto un tavolo con le Parti Sociali, di cui però si è persa traccia nel tempo e che anche per questo non è ancora approdato ad alcuna proposta condivisa.
Queste le diverse ipotesi in campo, e tutte finalizzate a scongiurare l’innesco dello scalone:
- Quota 41, ovvero la possibilità di ritirarsi con 41 anni di contributi, senza requisito anagrafico, abbassando così l’attuale soglia della pensione anticipata, senza penalizzazioni sull’assegno previdenziale, e che a nostro giudizio rappresentava la scelta auspicabile.
- Quota 102: ovvero la possibilità di pensionarsi con 64 anni di età e 38 di contributi, anche in questo caso senza penalizzazioni sull’assegno previdenziale.
- Opzione contributivo: ricalcolo della pensione interamente con il sistema contributivo con 64 anni di età e 20 anni di contributi, con un meccanismo simile a quello di Opzione Donna.
- Infine, ultime ipotesi in campo, prorogare e rendere strutturali nel tempo due opzioni in essere, già prorogate con la legge di bilancio 2021 e che andrebbero in scadenza il 31 dicembre p.v.:
- Opzione donna: matura con 35 anni di contributi e 58 anni d’età, con la condizione che il calcolo per l’assegno pensionistico sia totalmente contributivo, anche per i periodi antecedenti al
- APE Sociale: richiede 63 anni di età e 30-36 anni di contributi a seconda della fattispecie, ed è destinata solo ad alcune categorie di lavoratori: disoccupati, caregiver, lavoratori con handicap pari ad almeno il 74%, e addetti a mansioni gravose o pesanti di cui all’elenco recato dall’allegato C della legge finanziaria 2017 (L.232/2016), mansioni che in ogni caso debbono essere state effettuate per 6 anni negli ultimi 7 o per 7 anni negli ultimi 10. L’idea era quella di allargare l’elenco delle tipologie lavorative gravose o pesanti, permettendo ad una platea maggiore di lavoratori di accedere a questa opzione e, a tal proposito, era stata insediata presso il Ministero del Lavoro un’apposita Commissione che aveva concluso i suoi lavori a settembre u.s. individuando 207 nuove mansioni rispetto alle attuali 65, tutte da riclassificare come gravose, il che comporterebbe per questi lavoratori l’accesso nel 2022 all’ APE social, fino alla maturazione della pensione di vecchiaia. L’elenco dettagliato non è stato ancora definito, ma dovrebbe ricomprendere i professori della scuola primaria (che si aggiungerebbero ai professori delle scuole d’ infanzia, già ricompresi nel vecchio elenco), gli infermieri e le ostetriche, i magazzinieri e gli addetti anche non qualificati al trasporto e alla logistica, i portantini e gli addetti alle pulizie in hotels/ristoranti /navi.
Rispetto alle ipotesi di cui sopra, le scelte operate dal Governo nel DDL Bilancio in materia di pensioni per il 2022 sono le seguenti:
- Quota 102: dal 1° gennaio p.v., e fino al 31 dicembre 2022, si potrà andare in pensione con64 anni di età e 38 anni di contributi, con penalizzazioni sull’assegno previdenziale. Come per quota 100, il diritto però si cristallizza: significa che, se viene maturato nel 2022, potrà esercitarsi anche dopo.
- Opzione donna: viene prorogata al 2022, ma a parità del requisito contributivo (35 anni), sale invece il requisito anagrafico: 60 anni per le lavoratrici dipendenti e 61 per le autonome (ma il Governo pare stia tuttora riflettendo sulla possibilità di mantenere i 58 anni o andare max a 59), con il mantenimento del ricalcolo interamente contributivo della pensione, con le ben note penalizzazioni (quasi un terzo).
- APE sociale: anche questa opzione viene prorogata per l’intero 2022, con però l’allargamento della platea degli aventi diritto, e dunque con l’ammissione di ulteriori professioni e mestieri. I beneficiari percepiranno un assegno ponte mensile di max 1.500 € e fino alla maturazione della pensione di vecchiaia. Le regole di accesso sono però le stesse di quelle sin qui applicate: servono almeno 63 anni d’età e 36 anni di contributi per gli addetti a mansioni gravose, mentre servono 30 anni di contributi per disoccupati che non possono più utilizzare gli ammortizzatori (ma senza più i tre mesi di attesa), per caregiver e per persone con handicap lavorativo almeno al 74%.
Queste, in sintesi, le scelte operate dal Governo in materia previdenziale.
Ebbene, a questo proposito, esprimiamo un giudizio complessivamente negativo in merito agli intendimenti dell’Esecutivo.
In primis, per il metodo usato: le scelte per il 2022 non hanno un respiro strategico ma sono ispirate solo da una logica tampone, e rinviano ancora una volta al futuro le scelte da operare, in un Paese, l’Italia, che presenta in Europa i requisiti più onerosi per accedere alla pensione. Che andranno a penalizzare non solo centinaia di migliaia di lavoratori che ambirebbero oggi a uscire anticipatamente dal mondo del lavoro, ma anche in futuro milioni di donne, di giovani e di precari, per i quali una pensione dignitosa rappresenta allo stato davvero una chimera.
Scelte peraltro adottate dal Governo, al netto di ogni confronto preliminare con le Forze Sociali che non c’è mai stato in tutti questi mesi, e che appaiono ispirate da un unico criterio: quello del risparmio di cassa, come è testimoniato dalle esigue risorse destinate dal DDL alla spesa pensionistica: 601 milioni nel 2022, 451 milioni nel 2023, 507 milioni nel 2024 (poco più di 1,5 miliardi nel prossimo triennio).
Si potevano, e a nostro giudizio si dovevano, destinare maggiori risorse nel triennio per operare una seria riforma della Fornero, per finanziare in primo luogo l’uscita volontaria con 41 anni di contributi o con 62 anni d’età, per tutti e senza penalizzazioni. Sarebbe stata una scelta coraggiosa, ma il Governo ha ritenuto di non farla.
E il Presidente Draghi ha anche spiegato il perché in conferenza stampa: l’obiettivo è il contributivo pieno a partire dal 2023, senza più alcuna flessibilità in uscita. Dunque, la piena attuazione della Legge Fornero, che continuerà per questa strada a produrre danni su danni, e a pagarne le conseguenze saranno oggi i lavoratori in attività vicini alla pensione e domani, milioni di giovani e di donne.
Se questo è l’obiettivo, di strada se ne farà davvero poca, almeno per quanto ci riguarda!
In ogni caso, seguiremo da vicino l’iter legislativo e il dibattito parlamentare e ne daremo conto ai colleghi, con l’auspicio che le Camere modifichino in positivo le scelte del Governo.
Per completezza d’informazione, e a beneficio di quanti sono già percettori di trattamenti previdenziali, dobbiamo ricordare che, a fronte della significativa crescita del tasso di inflazione nell’anno in corso (a settembre u.s. eravamo già al 3%, rispetto al tasso di inflazione programmata per il 2021 a suo tempo fissato dalla NADEF 2020 allo 0,5%), dopo due anni di blocco, nel 2022 ci sarà la perequazione automatica delle pensioni – per come richiesto a suo tempo da CSE al tavolo di confronto con le Parti sociali promosso dall’allora Ministra Catalfo –, che costituisce il meccanismo attraverso il quale l’importo degli assegni previdenziali viene adeguato all’aumento del costo della vita indicato dall’ISTAT, e questo al fine di proteggere il potere d’acquisto delle pensioni. Un meccanismo, quello della perequazione automatica delle pensioni, bloccato nel 2011 dalla legge Fornero (uno dei tanti danni prodotti da quella legge…), e poi ritornato in vita a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 70/2015, con la quale la Consulta dichiarò incostituzionale il blocco biennale disposto dalla c.d. Legge Fornero.
E detta rivalutazione dovrebbe peraltro avvenire nel 2022 con criteri più favorevoli, in quanto dal 1° gennaio del prossimo anno, si ritornerà al vecchio criterio di rivalutazione per scaglioni d’importo (meccanismo valido sino al 2011) che assicura ai pensionati incrementi più favorevoli rispetto ai criteri sinora in vigore.
Coordinamento nazionale CSE FLP pensionati