La RGS dice no ad anticipo e incremento 1^ tranche del TFS
Rimane ancora inattuata la sentenza della C.C. 130/2023
Davvero una mazzata sulle legittime aspettative dei lavoratori pubblici di vedersi riconoscere il loro buon diritto a percepire la c.d. “buonuscita” (TFS/TFR) in tempi più ridotti e con somme più sostanziose rispetto a quanto avviene oggi.
Davvero un’autentica vergogna e uno scandalo che purtroppo permane, pur a fronte di un diritto riconosciuto dalla stessa Corte Costituzionale che sul punto si è pronunciata poco meno di un anno fa.
Ma partiamo dai fatti, come sempre.
Come è noto, a differenza del TFR (Trattamento di Fine Rapporto), che i lavoratori privati percepiscono in tutto il suo maturato economico al momento del collocamento in pensione, il TFS (Trattamento di Fine Servizio) destinato ai lavoratori pubblici viene invece erogato in tempi più lunghi, che differiscono tra loro in ragione della causa di cessazione dal servizio, arrivando addirittura in alcuni casi fino ai cinque anni, una situazione veramente incredibile atteso che i TFS/TFR nascono da accantonamenti degli stessi lavoratori.
In aggiunta, la corresponsione del TFS ha tempi diversi in relazione alla somma maturata da erogare: un’unica soluzione per importi fino a 50mila €; due rate annuali, per importi tra 50 e 100mila €; tre rate annuali, per importi superiori. Per far fronte a una tale situazione negativa, dal 2020 è intervenuta, a seguito di specifico protocollo Governo-ABI, la possibilità per il neo pensionato pubblico di richiedere in banca un anticipo del proprio TFS/TFR ma naturalmente con costi bancari anche molto elevati (fino al 5%) e, più recentemente, anche l’INPS ha reso possibile l’anticipo della c.d. “buonuscita”, a costi certamente più contenuti (1% + 0,50% spese amministrative) ma pur sempre e comunque a carico dei lavoratori.
Ebbene, a fronte di questo stato di cose, si è pronunciata con propria sentenza la Corte Costituzionale, investita del problema in virtù dall’ordinanza del TAR Lazio n. 6223/2022 sul ricorso di un Dirigente di P.S.
Con sentenza n. 130 del 23 giugno 2023, infatti, la Corte ha affermato che “il differimento della corresponsione dei trattamenti di fine servizio (TFS) spettanti ai dipendenti pubblici cessati dall’impiego per raggiunti limiti di età o di servizio contrasta con il principio costituzionale della giusta retribuzione, atteso che “si tratta di un emolumento volto a sopperire alle peculiari esigenze del lavoratore in una particolare e più vulnerabile stagione della esistenza umana”. In aggiunta, a giudizio della stessa Corte, la rateizzazione va ad “aggravare il vulnus”, e, infine, per quanto attiene gli anticipi TFS/TFR erogati da Banche o INPS, essi sono di fatto configurabili come “un finanziamento oneroso che riversa sul lavoratore il costo della fruizione tempestiva”. Da qui, l’invito della Corte al legislatore ad “individuare i mezzi e le modalità di attuazione di un intervento riformatore…”, atteso che “la discrezionalità del legislatore al riguardo non è temporalmente illimitata ….” e che “ non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa”.
Una sentenza importante che ha aperto prospettive nuove, ma che purtroppo non ha trovato sinora alcuna attuazione, neanche nella legge di bilancio 2024, come pure noi speravamo e per la quale cosa FLP aveva scritto al Presidente del Consiglio e ai Ministri competenti in data 27 luglio 2023 sollecitando “una urgente iniziativa legislativa” (si veda il Notiziario CSE FLP Pensionati n. 15 del 27 luglio 2023)
Pur tuttavia, alcuni parlamentari si sono fatti nel frattempo promotori di proposte di legge finalizzate a dare attuazione alla sentenza della Corte, pur se in modo ancora parziale, e questo sia sul fronte della maggioranza che sostiene il Governo (on. Bagnasco e altri di FI, luglio 2023) sia sul fronte dell’opposizione (on. Colucci e altri di M5S, dicembre 2023).
Il DDL presentato dall’on. Colucci e altri (“Atto Camera n. 1254”) prevede da una parte la riduzione da un anno a tre mesi del tempo di corresponsione della prima rata di TFS per i pensionati, e dall’altra il suo incremento a 63.600 € (oggi la prima rata non può superare € 50.000). La relazione tecnica predisposta da INPS e che accompagna il DDL, ne ha quantificato il costo in 3,8 mld annui.
Ebbene, con nota pervenuta in settimana scorsa alla Commissione Lavoro della Camera, la Ragioneria dello Stato (RGS) ha espresso “parere contrario” sull’AC 1254, in quanto produrrebbe “effetti peggiorativi sui saldi di finanza pubblica, in particolare modo in termini di fabbisogno e di indebitamento netto, e privi di copertura”. Contestata poi dalla RGS la decorrenza retroattiva, che “potrebbe alimentare contenziosi e comportare, pertanto, ulteriori oneri”.
Della serie: come si svuota di ogni significato una sentenza della Corte Costituzionale!
Un’autentica vergogna, a nostro giudizio, che appare ancora più tale se solo si pensa che le somme TFS/originano da accantonamenti dei lavoratori nel corso degli anni lavorativi, e che dovrebbero proprio per questo essere già disponibili al momento del pensionamento, altro che incidere oggi negativamente sui saldi di finanza pubblica!
Un parere, quello della Ragioneria, che rischia così di costituire un precedente di segno fortemente negativo, che potrebbe allontanare, e di molto la possibilità di vedere attuata la sentenza della Corte Costituzionale di giugno 2023.
Avremo modo di approfondire tutti gli aspetti legati al parere della Ragioneria, e vedremo soprattutto quali iniziative avviare per difendere il diritto dei lavoratori pubblici di vedere allineate le norme che regolano il loro trattamento di fine servizio a quello dei lavoratori del privato.
Il Coordinamento Nazionale CSE FLP Pensionati
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